La Malvasia

Verso la metà dell’Ottocento un francese di gusti raffinati come Alessandro Dumas padre, in viaggio alle isole Eolie, scriveva: “venne portata una bottiglia di Malvasia delle Lipari; fu il vino più eccezionale che abbia mai assaggiato nella mia vita”. Altri uomini illustri ne furono stregati e altri lo definirono nettare degli dei, ma nel 1788 era stato uno scienziato, Lazzaro Spallanzani, uno dei fondatori della biologia moderna, a raccontare come si fa la malvasia: “non distaccasi quest’uva dalla vite se non è a perfetta maturità, il che si conosce dal bellissimo colore dorato e dal dolcissimo sapore che prende.

I vendemmiati grappi, pria liberati da grani fracidi o guasti, si lasciano al sole distesi sopra stuoje di canne palustri, per otto o dieci giorni, ed anche di più, fin che appassiscano. Poi si collocano su d’un mondo piano lapideo, attorniato da murelli, alti ciascheduno due piedi, e allora i grappoli si comprimono, e schiacciandosi, prima con pietra legata all’estremità d’una piccola trave, indi co’ piedi nudi, finattantochè tutto il sugo ne venga spremuto…

Di lì si trasfonde nelle botti a fermentare, finchè depurato sia perfettamente abile al bersi; il che avviane nel susseguente gennaio”. Le tecniche di produzione si sono affinate, ma il procedimento è molto simile a quello descritto dallo Spallanzani due secoli fa. Il nome Malvasia è una storpiatura veneta di Monembasia, cittadina del Pelopponeso, che fu colonia della Serenissima.

Nel Cinquecento a Venezia si chiamavano malvasie i vini di provenienza greca e malvasie erano le osterie della città lagunare in cui venivano venduti.

Secondo una certa interpretazione degli scritti di Diodoro Siculo, la presenza dell’uva Malvasia nelle Eolie risale al I° secolo avanti Cristo.

Secondo studi recenti le prime barbatelle di Malvasia vennero impiantate nelle Eolie, a Capo Gramignazzi (Salina), alla fine del XVI secolo.


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